MAGRETA, 12 novembre 2012
CIAO a tutti, niente più SALAMA!
Eh sì perché per la prima volta vi scrivo dall’Italia, a più
di una settimana dal mio rientro! Non è
ancora giunto il momento di parlare dell’impatto italiano, anche perché… ho in
arretrato l’ultimo mese sull’isola rossa!
Ottobre
è iniziato con un po’ di panico. Panico perché mi rendevo conto che era
arrivato il momento di partire proprio quando mi sentivo inserita al lavoro, amica
dei colleghi, capivo un po’ di più la lingua, riuscivo ad esprimermi e avevo
raggiunto una serenità in comunità!
Comunque…proprio perché il tempo stringeva, ho deciso di
fare la mia ultima Rè.b.c. (riabilitazione a base comunitaria): ovvero la
tourneè in un villaggio per 2 settimane con i colleghi, per la fisioterapia ai
malati di tutto il distretto. Il caso ha voluto che in quel periodo fosse ad
Ambinanindrano, uno dei posti più isolati, raggiungibile solo con la moto con
un viaggio di 4 ore; a causa di una “terribile” strada (uso le virgolette
perché non è ancora stata inventata una parola per definire quella strada)!
E’ stata una bella sfida, sono tornata a casa comprendendo che,
con un po’ di abitudine, si possa fare a meno di cose che prima ritenevo
fondamentali: ero difatti tornata indietro di 70 anni cucinando sempre sul
fuoco, stando a lume di candela la sera, facendo la doccia con secchi d’acqua
e…lavando i vestiti al fiume! Anche se, siamo addirittura andati nel “pub” più
famoso del paese: una stanzetta di 1,60x2 m, formata da qualche asse, 2-3
sgabelli e un tavolino, di fianco a un banchetto che vendeva birra!
E’ stata un'altra bella sfida, vivere gomito a gomito con i
miei colleghi malgasci; adattandoci un po’ a vicenda, ma consapevoli di star
creando un bel legame. In certi momenti pensavo di non farcela, soprattutto
quando ti scontri sulle piccole cose; come sul preparare da mangiare o su modi
diversi di gestire il tempo e il lavoro. Ma è normale quando si vive fa tutto
insieme, dalla mattina alla sera, condividendo sempre gli stessi spazi e con
possibilità di sfogo minime.
In questa zona così isolata sono diffuse malattie quasi
scomparse ad Ambositra, come la lebbra o la filariosi; (infezione che causa
ristagno di liquido nelle gambe, fino a farle assomigliare a zampe di elefante;
difatti viene anche chiamata “elefantiasi”) tant’è che su 40 malati, 20 erano
lebbrosi, quasi tutti con delle piaghe. Se abiti in una zona dove ti puoi
spostare solo a piedi, e il primo ospedale è a 6 ore di cammino…bè allora magari
aspetti, aspetti, aspetti finché non ce la fai più; e sei costretto ad andare
da un dottore. Lo stesso problema
c’è quando si convocano i malati per la Rè.b.c., aggiungendoci il fatto che
dura 2 settimane; ecco perché su 90 convocati se ne sono presentati 20, e altri
20 erano nuovi. Ma proprio in queste terre isolate, ho constatato
con i miei occhi, che enorme possibilità sia per i malati questa riabilitazione;
anche se per poco tempo. E non solo dal punto di vista medico e riabilitativo: sono
persone che a malapena sanno far una firma; per cui, se ci fosse la volontà del
Foyer, si potrebbero organizzare formazioni su tutto, dal punto di vista
sanitario, lavorativo, spirituale ecc.. Scusate la digressione, ma
quest’argomento mi prende sempre molto!
Tornata dalla brousse, dopo 2 giorni sono ripartita per il
sud, perché era giunto l’atteso momento dei “veloma”. Dopo un breve passaggio
per Fianarantsoa, per salutare il “nuovo” Don Giovanni che è lì per studiar la
lingua; sono arrivata ad Ampasimanjeva, dove mi ha accolto la nuova comunità di
suore (nuova perché, come in Italia, nelle case della carità ogni anno c’è il
“turnover” di suore ). Come al solito passar per Ampa è un emozione: sarà
l’ottima accoglienza delle suore e i dottori che ogni volta ho trovato, sarà
perché noi “sanitari” ci sentiamo a casa solo in ospedale, sarà che
quell’ospedale è un po’ come una piccola città… ogni volta che passo di lì
vorrei fermarmi!
Il giorno dopo, con un viaggio record, sono arrivata a Manakara
dai volontari Filippo, Chiara e Silvia. Era un momento impegnativo per loro
poiché, con il loro progetto sanitario, si preparavano a distribuire 500.000
zanzariere in 4 distretti della zona; ma sono riusciti comunque a stupirmi con
effetti speciali: cene degne di suore e ristorante sul canale del Pangalana,
nonché di fianco al “famoso” ponte di Manakara (famoso perché qualche mese fa
un camion troppo pesante ci è passato sopra e…il ponte ha ceduto lentamente
sotto il suo peso!)!
Dopo un viaggio infinito, sono riuscita a tornare ad
Ambositra in un solo giorno; pronta (o quasi) ad affrontare tutti i “veloma”
nella mia amata città. Ho cercato di salutare le persone a cui ero più legata
una ad una, prendendomi qualche giorno solo per questo; perché se c’è una cosa
che ho capito in questa terra, è la bellezza di prendersi del tempo per le
relazioni.
Il primo è stato il più ufficiale, all’Akanin’ny Marary
nella grande sala con tutti i dipendenti, in queste occasioni c’è un vero e
proprio “protocollo” da rispettare: il “kabary”(discorso) del “Rayamandreny”(la
persona più autorevole del gruppo per età o per posizione) con consegna del
regalo, la risposta del festeggiato e poi si può mangiare, aprire il regalo e
continuare la festa.
Il
secondo veloma è stato molto meno ufficiale ma di sicuro il più divertente: la
festa con tutti i colleghi della fisioterapia e dell’atelier delle protesi…a
casa di Napo e Aregba, due tecnici ortopedici del Togo!Qui ho messo a dura prova
la mia resistenza in fatto di ballo e le mie capacità canore!
Poi è venuto il momento del carcere: salutare la mia “parrocchia”e gli
amici e le amiche “della domenica” è stata dura, credevo che la mia ultima
messa passasse inosservata e invece quando Nicolà, il nostro amico responsabile
della liturgia, si alzato dicendo: <<oggi non c’è nessun “afaka”(libero),
ma c’è una di noi, che è con noi ogni domenica, che è “afaka” perché torna a
casa…>> ho capito che era venuto il mio turno! E allora anch’io, come tanti
carcerati in questo anno, ho ringraziato il Signore per questo enorme dono
ricevuto; ballando e cantando. E
infine la “famigghia”: casa della carità e casa volontari dove, sempre con
molta emozione, abbiamo ricordato quanto siamo cresciuti insieme in questo anno;
i primi cantando e ballando come solo i malgasci sanno fare, i secondi con regali
e con la cucina...come solo gli italiani sanno fare!
Nonostante i giorni dedicati solo alle visite, era così
difficile salutarsi “definitivamente” che ogni volta ci dicevamo:<<Quando
parti?>> <<Mercoledì mattina>> <<Bè allora non ci
salutiamo ancora…>> e così via, tant’è che ho rimandato tutti i saluti
all’ultima mattina; che è ovviamente diventata una mattina esplosiva dal punto
di vista emotivo, ma anche dal punto di vista delle valigie e della mia camera
(vero Andre??!) ! Lasciare Ambositra non è stato facile, non lasciavo più solo
un luogo, una città tra le tante, un nome tra i tanti come quando sono arrivata
un anno fa; ma a quel nome sono oramai legati tanti volti di amici, colleghi e
compagni di viaggio, impossibili da dimenticare.
Per fortuna in capitale ho ritrovato “l’altro pezzo di
famiglia” (Martina), e tanti altri amici, tutti presi dall’altro evento del
momento: la fiera del commercio equo e solidale, che si è tenuta 8-9-10
novembre; organizzata proprio da RTM. Anche per la comunità di Ambositra era un
momento importante, perché si è riuscito, dopo diverse peripezie, a fare uno
stand con i prodotti dei nostri amici carcerati insieme anche a quelli di Tanà!
Sui risultati non sono ancora aggiornata, vi saprò dire…
Dopo un pranzo da “vazaha”che ci siam concessi per la festa,
e il tradizionale veloma in cdc (dove,oramai collaudata, ho fatto il ultimo
kabary!)…sono salita sull’aereo lasciando, solo fisicamente, quel miscuglio di
volti, luoghi, esperienze, parole, azioni, colori, gusti, sapori, odori che è
stato il MIO Madagascar.
TSARA
MANDROSO…TSARA MIVERINA!
Anna
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